domenica 21 agosto 2011

La teoria della "competenza" intesa in senso "dinamico". Ipotesi di una sua estensione alle questioni di giurisdizione al fine di fondare il "vincolo" (previsto dal secondo comma dell'art. 59 l. n. 69/2009) all'indicazione del giudice a quo su una base teorica stabile (cfr. in particolare nota 802)

Tratto dalla mia Tesi di Laurea Magistrale 

Cap. II, par. 4.2.2. (pgg. 101 - 105)

Giunti a questo punto della trattazione, appare doveroso analizzare una peculiare teorica che potrebbe assumere importanza centrale nell’ambito della trasmigrazione del processo fra plessi giurisdizionali differenti. Teorica che, al momento dell’entrata in vigore del codice di rito, risultava edificata su un unico dato normativo (il regime di derogabilità della competenza territoriale previsto dall’art. 38 c.p.c.) ma che alla luce delle recenti riforme in tema di competenza e giurisdizione (in particolare, il riferimento va alla legge n. 353/1990, alla sent. Cass., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, ed all’art. 9 d. lgs. n. 104/2010) pare aver acquisito più solido fondamento.
Nell’ambito della dottrina maggioritaria, alcuni autori258 hanno cercato di dimostrare la bontà delle proprie tesi (e pertanto, la piena utilizzabilità dell’attività istruttoria compiuta davanti al giudice a quo nel processo riassunto presso il giudice ad quem) evidenziando come dal codice di rito emerga una concezione “composita” del requisito della competenza259. Il codice di procedura civile, infatti, non si sarebbe limitato a dettare una serie di “regole legali astratte e predeterminate” al fine di individuare il giudice competente (c.d. competenza in senso “statico260”), ma avrebbe contemplato altresì alcune fattispecie in grado di incidere sulla competenza del giudice in un momento successivo alla proposizione della domanda, anche eventualmente in contrasto con i criteri legali predeterminati dal legislatore (c.d. competenza in senso “dinamico261”). Ciò sarebbe dovuto al fatto che, una volta pendente il processo davanti ad un determinato organo giurisdizionale, l’interesse a vedere rigorosamente rispettati i criteri di competenza c.d. “statici” può subire un sensibile ridimensionamento (e, talvolta, un totale azzeramento) davanti all’esigenza (che ciascun ordinamento processuale può avvertire con maggiore o minore intensità, anche in relazione a fattori contingenti e mutevoli nel tempo, quali l’accentuarsi del pericolo che la durata del processo possa subire ulteriori ritardi per ragioni conseguenti all’insorgere di questioni di competenza) di evitare la chiusura in rito del processo e favorire che lo stesso pervenga al suo risultato finale: la pronuncia sul merito della controversia, al fine di stabilire chi ha torto e chi ha ragione262.
Per comprendere tale prospettiva, occorre esaminare la disciplina contenuta nell’art. 38 c.p.c. (in particolare, alla luce delle modifiche introdotte dalle leggi n. 353/1990 e n. 69/2009): da tale disciplina si evince che, nel caso l’incompetenza non sia eccepita (ovvero rilevata d’ufficio, ove consentito) entro un certo limite temporale, su tale “vizio” (consistente in una violazione delle regole della competenza intesa in senso “statico”) si verifica una sorta di “sanatoria”. Tale effetto sanante costituirebbe un classico esempio di situazione in cui l’interesse a vedere applicate le regole della competenza in senso “statico” cede il passo ad esigenze strettamente legate alla dinamica processuale.
Postulando una carenza di competenza originaria e la possibilità di una successiva sanatoria ex nunc si porrebbe tuttavia il problema del c.d. “interregno263” (ossia la sorte da attribuire agli atti compiuti dal giudice prima del verificarsi della preclusione sulla questione della competenza, con conseguente sanatoria): dilemma irrisolto dalla dottrina maggioritaria, secondo la quale il mancato rilievo dell’incompetenza dovrebbe concepirsi in termini di “deroga tacita” e di “legittimazione sopravvenuta del giudice incompetente264”.
A tale problema, la dottrina che ha prospettato la nozione di competenza in senso “dinamico” ha ovviato ribaltando i termini del ragionamento: il giudice a quo sarebbe competente ab origine, sin dal sorgere della litispendenza, però sotto condizione risolutiva265 (rappresentata dalla proposizione della eccezione d’incompetenza). In tal modo non sarebbe necessario ricorrere ad alcuna forma di sanatoria di un presunto “vizio originale” della competenza266: il giudice adito risulterebbe infatti competente sin dal principio, in virtù dell’applicazione delle quattro fattispecie c.d. “dirette” di competenza in senso “dinamico” previste dall’art. 38 c.p.c.267.
Il medesimo ragionamento può essere esteso anche alle ipotesi in cui venga rilevato il difetto di competenza del giudice adito (il quale, pertanto, dal momento del rilievo cessa di essere competente) e si proceda alla translatio iudicii. In tal caso, opererebbero le due fattispecie c.d. “indirette” di competenza in senso “dinamico268” (vale a dire, alternativamente, l’accordo endoprocessuale sulla competenza territoriale derogabile previsto dall’art. 38 ovvero la disciplina prevista dal combinato disposto degli articoli 44 e 45 c.p.c.): tutti gli atti compiuti dal giudice a quo antecedentemente alla pronuncia denegatoria della sua competenza sarebbero perfettamente validi e potrebbero legittimamente trasmigrare presso il giudice ad quem (senza alcuna necessità di ricorrere, come ha fatto la Cassazione nella nota sentenza n. 9444/1993, a forme di sanatoria indiretta mediante translatio iudicii269).
In tal modo, si potrebbe superare l’antinomia fra “competenza” quale condizione di “decidibilità” ovvero “trattabilità” della causa nel merito: nell’assenza di un preciso dato normativo, ciascuna delle due soluzioni risulta caratterizzata da un certo grado di arbitrarietà.
La teoria della competenza in senso “dinamico” ha incontrato accese opposizioni270, in particolare da parte della dottrina che ha ipotizzato la caducazione di tutti gli atti compiuti presso il giudice a quo. Secondo la loro opinione, tale teoria avrebbe confuso il “tempo del rilievo” dell’incompetenza con le “ragioni che lo sorreggono”: il primo non potrebbe mai sovrastare le seconde, che sono proprio quelle di far sì che sussista sempre il presupposto per la validità degli atti del giudice. L’incompetenza sarebbe sempre originaria, e non si potrebbe rinvenire in essa una componente “dinamica” contrapposta a quella “statica”.
Tuttavia i fautori della teorica, pur condividendo sostanzialmente l’idea che la competenza costituisca requisito di validità dei singoli atti compiuti dal giudice e che la translatio iudicii possa implicare unicamente la salvezza degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda, hanno opposto un semplice rilievo: la soluzione offerta dalla dottrina favorevole alla caducazione dell’attività compiuta davanti al giudice a quo non sarebbe in grado di spiegare come possano considerarsi efficaci tutta una serie di atti che il magistrato deve poter compiere in ogni caso allo scopo di accertare il requisito della propria competenza o per garantire la valida costituzione del processo271.
Inoltre, essi hanno ammesso (antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 353/1990) che, nel caso di violazione dei c.d. “criteri forti” (i quali potevano essere eccepiti o rilevati d’ufficio in ogni stato e grado del processo), si potesse discutere di incompetenza originaria (non verificandosi alcuna funzione integratrice dei criteri astratti ad opera di norme di competenza in senso dinamico): in siffatte situazioni, pertanto, alle prove raccolte davanti al giudice a quo non si sarebbe potuto attribuire alcun valore.



258 L. MONTESANO – G. ARIETA, Diritto processuale civile, vol. I, Torino, Giappichelli, 1999, pag. 95 ss.
259 L’espressione è di M. C. VANZ, La circolazione della prova nei processi civili, Milano, Giuffré, 2008, pag. 268. 
260 G. ARIETA, op. cit., pag. 6 ss. Il profilo della competenza in senso “statico” é quello affrontato tradizionalmente negli studi in materia processualcivilistica. Esso é costituito dal complesso di regole astratte, stabilite dal legislatore con riferimento al momento della proposizione della domanda (si vedano al riguardo gli artt. 7 e ss. c.p.c.). 
261 G. ARIETA, ibidem, pag. 18 ss. L’Autore suddivide le fattispecie di competenza in senso “dinamico” in due gruppi: quelle c.d. “dirette” (ibidem, pag. 43 ss.) producono immediatamente i loro effetti nel momento in cui sorge la litispendenza, anche se sottoposte alla “condizione risolutiva” costituita dal rilievo dell’incompetenza (trattasi delle quattro fattispecie previste dall’art. 38 c.p.c., inerenti alla disciplina del rilievo dell’incompetenza per materia, valore, territorio derogabile e funzionale); al contrario, gli effetti di quelle c.d. “indirette” (ibidem, pag. 22 ss. e pag. 31 ss.: trattasi dell’accordo endoprocessuale sulla competenza territoriale derogabile previsto dall’art. 38 c.p.c. e del meccanismo traslativo disciplinato dal combinato disposto degli artt. 44 e 45 c.p.c.) risultano subordinati a determinati comportamenti delle parti (ad esempio: nel caso di accordo endoprocessuale sulla competenza territoriale derogabile) o del giudice (ad esempio: nel caso di ordinanza declinatoria emessa dal giudice a quo contenente l’indicazione del giudice ritenuto competente ovvero nel caso di esperimento del regolamento di competenza d’ufficio ai sensi dell’art. 45 c.p.c.), i quali entrano a far parte delle fattispecie medesime e consentono di individuare il giudice designato come competente anche in violazione delle regole sulla competenza in senso statico.
262 L. MONTESANO – G. ARIETA, op. cit., pag. 97.
263 Si veda al riguardo V. DENTI, L’eccezione nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, pag. 34. 
264 Emblematico risulta il seguente passo tratto da C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit., vol. I, pag. 275 s. : “l’eccezione d’incompetenza che non sia proposta entro quei limiti e con quelle modalità non può più essere proposta, con la conseguenza che il giudice adito, pur essendo inizialmente incompetente, diviene competente...: si attribuisce rilievo all’accordo implicito nella mancata eccezione”.
265 G. ARIETA, op. cit., pag. 51 ss. 
266 G. ARIETA, ibidem, pag. 14 ss. L’Autore critica l’impostazione accolta all’unanimità dalla dottrina, la quale considera l’incompetenza alla stregua di una meccanica verifica della sussistenza dei criteri di competenza astrattamente previsti dalla legge (e dunque risolta nel controllo di legalità sulla scelta che ha portato l’attore a proporre domanda presso un determinato giudice). Significativo il seguente passo: “ritenere che l’incompetenza altro non sia che un fenomeno di segno esclusivamente negativo (se non addirittura patologico) rispetto alle norme sulla competenza in senso statico costituisce una incrostazione del tradizionale modo d’intendere la competenza come presupposto processuale, e pone l’interprete, di fronte a norme ed istituti che appaiono incompatibili con la semplice attività di controllo del rispetto dei criteri legali di competenza, nella necessità di far ricorso a forme di sanatoria che dovrebbero assorbire il presunto vizio originario d’incompetenza”. 
267 Cfr. nota 261. Trattasi delle quattro fattispecie previste dall’art. 38 c.p.c., inerenti alla disciplina del rilievo dell’incompetenza per materia, valore, territorio derogabile e funzionale.
268 Cfr. nota 261. 
269 G. ARIETA, ibidem, pag. 86 ss. 
270 Come rilevato da M. ACONE, Sub art. 50, cit., pag. 502 ss. 
271 G. ARIETA, op. cit., pag. 89 ss.



Tesi di Laurea Magistrale (Cap. IV, pgg. 298 - 310) 

1.4. La pronuncia declinatoria della giurisdizione. 1.4.1. Il contenuto della statuizione del giudice a quo.

Il primo comma dell’art. 59 l. n. 69/2009 (come espressamente richiesto dalla Consulta nella sentenza n. 77/2007) sancisce l’onere, per il giudice che dichiara il proprio difetto di giurisdizione, di indicare contestualmente il plesso giurisdizionale ritenuto competente a pronunciarsi sul merito della controversia772: dalla norma, pertanto, deriva un vero e proprio obbligo d’indicazione in capo all’organo declinante, speculare a quanto disposto dall’art. 44 c.p.c. per il caso di declinatoria di competenza proveniente dal giudice civile773.
La previsione, in questo modo, ha posto fine alle incertezze giurisprudenziali evidenziate nel capitolo precedente774, chiarendo che il giudice a quo (nel declinare la propria giurisdizione) non debba fare altro che indicare il giudice ritenuto munito della stessa: in particolare, egli non è tenuto ad indicare quali degli effetti sostanziali e processuali della domanda innanzi a lui erroneamente proposta debbano essere conservati775, né tantomeno le modalità od il termine per procedere alla riassunzione776.
Resta tuttavia da chiedersi se una pronuncia in tal senso (sia che stabilisca, sia che neghi la conservazione di alcuni effetti della domanda; sia che indichi un termine per la riassunzione inferiore ovvero superiore a quello trimestrale stabilito dal secondo comma della norma in commento) abbia valore vincolante per le parti ed il giudice ad quem: da una ricostruzione sistematica dell’istituto (che tenga in debito conto anche le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria in tema di translatio per incompetenza del giudice civile), si deve obbligatoriamente concludere affermando che ad eventuali ulteriori statuizioni contenute nella pronuncia declinatoria della giurisdizione non debba essere riconosciuta efficacia alcuna; d’altro canto, esse potrebbero essere prese in considerazione al fine del riconoscimento di rimessioni in termini777.
Il legislatore, tuttavia, ha omesso di disciplinare un rimedio ad hoc nel caso in cui il giudice non indichi nella declinatoria il plesso giurisdizionale del rinvio778; neppure ha stabilito le eventuali conseguenze dell’omissione (sia in ordine alla conservazione degli effetti della domanda che relativamente alla stessa possibilità di procedere alla translatio iudicii). Spetta dunque all’interprete il compito di chiarire la questione, ponendo ancora una volta alla base della propria riflessione gli elementi emergenti dalla copiosa giurisprudenza civilistica relativa alla tematica.
Per quanto concerne la salvezza degli effetti della domanda, si potrebbe ritenere che in siffatte circostanze sia impedito il decorso del termine per la riassunzione del processo: la tesi potrebbe trovare riscontro nella lettera del secondo comma della disposizione in esame, ove é previsto che il termine trimestrale decorra dal passaggio in giudicato della declinatoria (la quale, appunto, deve indicare il giudice munito di giurisdizione). In ogni caso, la dottrina maggioritaria779 ha correttamente ritenuto che tale conclusione contrasti con la lettera della legge, la quale non subordina esplicitamente la decorrenza del termine perentorio all’esistenza (o meno) dell’indicazione della giurisdizione del rinvio.
Per quanto riguarda invece la praticabilità della translatio, la dottrina si è immediatamente divisa. Alcuni giuristi hanno ritenuto doveroso il previo ricorso al procedimento di correzione dell’errore materiale (espressamente disciplinato dall’art. 287 c.p.c. per le ipotesi di omissioni780): a ben vedere, però, la soluzione non sembra particolarmente convincente, in quanto l’indicazione del giudice (ritenuto) munito di giurisdizione costituisce parte integrante della decisione del giudice a quo e mai potrebbe essere paragonata ad un mero vizio di forma della pronuncia declinatoria781.
Altra parte della dottrina ha invece ipotizzato l’onere per le parti di riassumere il processo tempestivamente avanti qualsivoglia giudice, purché diverso da quello che ha negato la propria giurisdizione. In tal caso, resterebbe fermo quantomeno il vincolo “negativo” riguardante la carenza di giurisdizione del giudice originariamente adito782: al contrario, il giudice adito in seconda battuta (pur non essendo stato indicato nella pronuncia declinatoria della giurisdizione) potrebbe “accettare” la giurisdizione ovvero sollevare alla prima udienza la questione di giurisdizione783.
Non è mancato infine chi784 ha auspicato un ripensamento della nota interpretazione giurisprudenziale in tema di regolamento di giurisdizione (ex art. 41 c.p.c.): consentire alle parti la proposizione dello strumento preventivo in seguito alla pronuncia declinatoria del giudice a quo consentirebbe una celere chiusura (con efficacia vincolante e panprocessuale) della questione di giurisdizione, anche se (come evidenziato dalla recente giurisprudenza di legittimità) ciò finirebbe per far perdere all’istituto la sua ratio preventiva.
Sulla base della normativa attualmente in vigore (e volendo effettuare una ricostruzione quantomeno coerente da un punto di vista sistematico), si dovrebbe tuttavia aderire ad una dottrina (per il momento) minoritaria785 che propende per la proposizione di appello avverso la declinatoria anche solo per ottenere l’indicazione del giudice munito di giurisdizione: in tal senso, del resto, si è sempre orientata la giurisprudenza civilistica, la quale ha riconosciuto che (nel caso di omessa indicazione del giudice competente) la parte interessata debba proporre regolamento necessario di competenza786.
Non bisogna infatti dimenticare che l’indicazione del giudice ritenuto munito di giurisdizione non ha una funzione meramente pratica, ossia di coadiuvare la parte interessata alla prosecuzione del giudizio nella ricerca del Tribunale fornito di potestas decidendi sulla domanda: essa costituisce, invece, parte integrante della pronuncia declinatoria, e pertanto la sua assenza rappresenta mancato esercizio della funzione giudicante da parte del giudice a quo787.

1.4.2. Il vincolo per le parti.

Dopo aver analizzato il contenuto della pronuncia declinatoria della giurisdizione, occorrerà procedere con l’esame del vincolo che essa pone in capo alle parti processuali ed al giudice ad quem788. Per quanto concerne le decisioni provenienti dalle Sezioni Unite della Cassazione (come evidenziato in apertura di commento all’art. 59) il primo comma della norma ne ribadisce ex lege l’efficacia pan - processuale (sia nei confronti del giudice ad quem che delle parti): la vincolatività in parola viene attribuita alle decisioni della Suprema Corte rese sia in seguito alla proposizione di ricorso ordinario (ex. art. 360, 1 n. 1 c.p.c. , ex art. 362, 1 c.p.c. ovvero ex art. 111, 7 Cost.), sia in accoglimento del ricorso incidentale su questione incidentale, sia infine nel caso di proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione (ex. art. 41 c.p.c.). Sotto il profilo letterale, la disposizione richiama unicamente le pronunce provenienti dalle Sezioni Unite: tale circostanza dovrebbe portare ad escludere l’efficacia pan - processuale delle decisioni adottate in tema di giurisdizione (su ricorso proposto ex. art. 360, 1 n. 1 c.p.c.) dalle Sezioni semplici (possibilità oggi riconosciuta ai sensi dell’art. 374, 1 c.p.c. come novellato dal d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40789), ma anche in questo caso ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere che il legislatore sia incorso in un semplice lapsus o quantomeno in un difetto di coordinamento con la precedente riforma del processo civile790.
Per quanto riguarda invece l’efficacia della pronuncia declinatoria resa dal giudice di merito, occorre ribadire quanto già segnalato in sede di commento al secondo comma dell’art. 59. La disposizione attribuisce alla pronuncia in questione un’efficacia peculiare: tradizionalmente, essa non sarebbe idonea ad acquistare autorità di cosa giudicata in senso sostanziale ed a dispiegare effetti al di fuori del processo in cui è resa (se non quando in essa la decisione, anche solo implicita, sulla giurisdizione risulti collegata ad una statuizione sul merito); la nuova norma sulla translatio fra giurisdizioni, invece, pone (da un lato) il vincolo per le parti all’indicazione nel processo proseguito davanti al giudice del rinvio e (dall’altro) ripropone l’italico compromesso791 già previsto dall’art. 45 c.p.c. in tema di translatio per incompetenza del giudice civile.
Rinviando al paragrafo seguente l’esame del vincolo che la norma pone in capo al giudice ad quem (nonché del novello “regolamento di giurisdizione d’ufficio” previsto dal terzo comma dell’art. 59), è invece opportuno evidenziare immediatamente come la legge sancisca (in termini estremamente chiari) l’efficacia vincolante della pronuncia per le parti ma non indichi quando tale vincolo venga in essere (né tantomeno quale ne sia il fondamento792).
Se si potesse procedere alla translatio iudicii solo dopo il passaggio in giudicato della pronuncia con cui è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del primo giudice, la sentenza sarebbe vincolante per le parti come naturale conseguenza del giudicato interno, destinato a spiegare i suoi effetti nell’ambito di un processo che continua: in tal caso, si potrebbe escludere in radice l’esistenza di un “diretto” nesso di causalità fra translatio iudicii ed efficacia vincolante della sentenza793.
Al contrario, la translatio iudicii potrebbe assumere rilievo diretto794 nel caso in cui essa (come affermato dalla stessa Corte di Cassazione nelle prime pronunce concernenti l’art. 59) venga considerata praticabile anche prima del passaggio in giudicato della sentenza declinatoria della giurisdizione: in questi casi, infatti, il vincolo non potrebbe essere utilmente fondato sulla formazione di un giudicato interno; né tantomeno si potrebbe affermare, per la semplice ragione che il processo debba procedere verso la decisione di merito, che tutte le parti debbano considerarsi vincolate all’indicazione data dal primo giudice (senza possibilità di proporre appello e, soprattutto, ricorso per Cassazione795).
In pratica, la pronuncia declinatoria della giurisdizione potrebbe vincolare solo la parte che abbia deciso di prestare espressa acquiescenza (ex. art. 329 c.p.c.) all’indicazione fornita dal giudice ad quem: in tal caso (ma solo in questo, contrariamente alla lettera della norma796) il vincolo previsto dal secondo comma dell’art. 59 potrebbe spiegare i propri effetti nel processo proseguito797. Per quanto concerne invece le parti processuali diverse da quella che abbia espressamente prestato acquiescenza798, è quantomeno dubbio che esse debbano a loro volta considerarsi vincolate alla indicazione contenuta nella declinatoria. Pertanto (almeno in linea di principio) non sarebbe del tutto esatto affermare che, dopo la declinatoria di giurisdizione, solo il nuovo giudice possa mettere in discussione la propria giurisdizione (peraltro senza poter prendere alcuna decisione e quindi solo proponendo regolamento di giurisdizione d’ufficio): anche le parti che non abbiano prestato espressa acquiescenza, infatti, ben potrebbero contestare la giurisdizione sollevando la relativa eccezione nel corso del processo riassunto799 (ovvero impugnando la declinatoria di giurisdizione pronunciata dall’organo originariamente adito).
La questione, in ogni caso, merita alcune considerazioni di sintesi. E’ infatti possibile individuare, all’interno della disciplina introdotta dall’art. 59 l. n. 69/2009, un filo conduttore che lega la tematica del vincolo all’indicazione (vincolo posto dal secondo comma in capo alle parti e, indirettamente, dal terzo in capo al giudice del rinvio) con la problematica del concorso fra riassunzione del processo ed impugnazione della declinatoria del giudice originariamente adito: entrambe sembrano ruotare attorno al “nodo gordiano” costituito dal dies a quo per la trasmigrazione del giudizio. La lettera della norma, nonché le preoccupazioni esposte dalla dottrina civilistica antecedente alla riforma800, inducono a ritenere che la reale volontà del legislatore fosse quella di introdurre una ulteriore conditio sine qua non per la trasmigrazione del processo (vale a dire, il passaggio in giudicato della declinatoria), ed abbia poi plasmato la normativa relativa alla translatio sulla base di un vincolo derivante dal formarsi del giudicato interno sulla questione di giurisdizione801. Al contrario, la lettura che della norma è stata data dalla giurisprudenza di legittimità (orientata dalla “stella polare” rappresentata dal principio della ragionevole durata del processo) ha determinato (da un lato) le discrasie evidenziate riguardo al concorso fra riassunzione del processo ed impugnazione della declinatoria e (dall’altro) la difficoltà (o, meglio, l’impossibilità) di fondare il vincolo sancito dalla norma in capo alle parti ed al giudice ad quem (nelle ipotesi di translatio antecedente al formarsi del giudicato sulla questione di giurisdizione) su una base teorica stabile802.

1.4.3. Il vincolo per il giudice ad quem e l’introduzione del c.d. “regolamento di giurisdizione d’ufficio”. Il riferimento della norma alle disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.

Come già evidenziato incidentalmente, il terzo comma dell’art. 59 l. n. 69/2009 ha introdotto uno strumento processuale di evidente utilità pratica: un c.d. “regolamento di giurisdizione d’ufficio”, volto a prevenire i conflitti negativi reali. Tale soluzione, già auspicata dalla dottrina maggioritaria nel periodo immediatamente successivo alle storiche sentenze del 2007, ricalca nella sostanza l’istituto del regolamento di competenza d’ufficio previsto dall’art. 45 c.p.c.803. Il legislatore del 2009, chiamato dalla Consulta (sent. n. 77/2007) a compiere una scelta in ordine alla conservazione (o meno) del principio della Kompetenz – Kompetenz “giurisdizionale”, ha dunque nuovamente optato per l’italico compromesso804 già compiuto in tema d’incompetenza del giudice civile: oggi, infatti, l’unico giudice che può ancora ritenersi “giudice della propria giurisdizione” è solo quello erroneamente adito in prima battuta, poiché solo ad esso la legge permette di declinare la propria giurisdizione (peraltro con l’obbligo di indicare contestualmente il giudice ritenuto munito della stessa805); se il processo è tempestivamente riassunto innanzi a quest’ultimo, il giudice della riassunzione non potrà decidere della propria giurisdizione, ma solo “accettarla” o sollevare d’ufficio la questione innanzi alla Suprema Corte806.
La proponibilità dell’istituto in esame è subordinata a tre presupposti (uno negativo e due positivi807). Innanzi tutto, sulla questione di giurisdizione non si devono essere pronunciate (nel processo) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione: il “sibillino inciso808” (ora evidenziato) potrebbe far insorgere nuovi dubbi riguardo all’efficacia panprocessuale di siffatte pronunce, ma ragioni d’ordine sistematico invitano a ritenere che si tratti nuovamente di una semplice “svista” del legislatore del 2009. In secondo luogo, la questione può essere sollevata d’ufficio dinnanzi alla Suprema Corte solo in caso di tempestiva trasmigrazione della causa (perché altrimenti la questione di giurisdizione si potrebbe riproporre e ridecidere senza che rilevi la precedente decisione del giudice di merito) nonché (terzo presupposto) entro un termine perentorio (“fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito809). In tal modo, attraverso una sorta di devoluzione della giurisdizione in senso “dinamico”, si è cercato di “stabilizzare” la relativa questione nel minor tempo possibile, bloccando la decisione di altri giudici diversi da quello previamente adito: il termine perentorio per sollevare la questione di giurisdizione d’ufficio serve a fare in modo che, una volta decorso senza che essa sia stata sollevata, resti definitivamente accertata la giurisdizione del giudice indicato nella declinatoria810.
Per quanto concerne la disciplina procedimentale applicabile al regolamento di giurisdizione d’ufficio, il terzo comma dell’art. 59 fornisce scarne indicazioni: si deve propendere, dunque, per l’applicazione di quanto stabilito per l’analogo istituto disciplinato dall’art. 45 c.p.c. per le ipotesi d’incompetenza del giudice ordinario811.
Pare escluso (in via di principio) che si possa creare alcuna interferenza tra il novello “mezzo successivo” per la risoluzione delle questioni di giurisdizione (che resterebbe attribuito al giudice) ed il tradizionale “mezzo preventivo” (ex. art. 41 c.p.c., rispetto al quale sono legittimate le parti): ovviamente, una volta che la Suprema Corte si sia già pronunciata in sede di regolamento preventivo (come in ogni altro caso in cui abbiano già affrontato e deciso la questione di giurisdizione), non sarà più consentito un regolamento d’ufficio (promanando dalla relativa statuizione un vincolo irretrattabile per tutti i giudici dell’ordinamento); per contro, proposto regolamento preventivo (e non sospeso il processo dal giudice di merito), il giudice che fosse successivamente investito in seguito ad una eventuale declinatoria e che dubitasse a sua volta della propria giurisdizione avrebbe solo la possibilità (meglio, il “dovere”) di sospendere il processo812.
Ci si è inoltre interrogati circa il rimedio esperibile nel caso in cui il giudice ad quem declini a sua volta la propria giurisdizione anziché sollevare d’ufficio il regolamento di giurisdizione: alcuni autori hanno ipotizzato che la relativa pronuncia denegatoria debba essere impugnata secondo le modalità e le forme proprie del processo in cui è stata emessa813; altra corrente dottrinaria ha invece ritenuto che, una volta riassunto il processo, il terzo giudice abbia il dovere di proporre il regolamento d’ufficio814.
Per quanto concerne infine il riferimento della norma al mezzo preventivo disciplinato dall’art. 41 c.p.c. (“restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione”), è già stato osservato in itinere come la dottrina abbia incontrato notevoli difficoltà nell’attribuirvi un qualche significato: alcuni autori ne hanno evidenziato la sostanziale inutilità815; altra corrente dottrinaria (al fine di assicurare una veloce definizione della questione di giurisdizione) ha ravvisato in essa la volontà del legislatore di sconfessare l’oramai stabile giurisprudenza relativa al dies ad quem per la proposizione del regolamento816.
In ogni caso (a partire dalla nota ordinanza n. 2716/2010817), le Sezioni Unite hanno ribadito (in molteplici occasioni) la loro posizione sulla tematica sulla base di un duplice assunto: da un lato, con l’inciso in esame, il legislatore avrebbe voluto semplicemente aderire alla posizione assunta (a partire dal 1996) dalla giurisprudenza di legittimità; dall’altro, egli (omettendo di riformare l’istituto sia nell’ambito della riforma processualcivilistica del 1990 che in quella del 2009) avrebbe manifestato chiaramente la propria intenzione di voler conservare la natura esclusivamente preventiva (e non impugnatoria) del regolamento di giurisdizione818.



772 Il primo comma dell’art. 59 l. n. 69/2009 così dispone: “Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione...”. 
773 Il rilievo è di C. ASPRELLA, op. cit., pag. 162. L’art. 44 c.p.c. dispone infatti che l’ordinanza con la quale il giudice dichiara la propria incompetenza, se non impugnata con regolamento necessario di competenza, “rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicata” qualora il processo venga riassunto entro il termine di cui all’art. 50 c.p.c. Per maggiori approfondimenti cfr. supra, Cap II par. 2.2.
774 In particolare (come evidenziato da A. TRAVI, La nuova disciplina della translatio, cit., pag. 914), essa ha sanato il contrasto esistente fra la giurisprudenza della V e VI Sezione del Consiglio di Stato: cfr. supra, Cap. III par. 5.2 – 5.3. Il legislatore ha, in sostanza, aderito alla posizione assunta dalla VI Sezione, salvo specificare che non è necessaria un’apposita dichiarazione del giudice della declinatoria relativamente alla salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
775 S. PUCCI, op. cit., pag. 81. Pertanto, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si conservano tutti ed ex lege (così come, nel periodo antecedente all’emanazione dell’art. 59 l. n. 69/2009, essi si conservavano integralmente per espressa statuizione della sent. Cost. n. 77/2007: cfr. L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 864).
776 B. RAGANELLI, op. cit., pag. 778. In tal modo è stata evitata la discrasia presente nell’art. 50 c.p.c. relativamente alla trasmigrazione del processo successiva al rilievo dell’incompetenza del giudice civile. La norma codicistica, infatti, consente all’organo privo di potestas decidendi di stabilire un termine discrezionale per la conservazione degli effetti della domanda (nonché il momento della relativa decorrenza): effetti che, tuttavia, attengono al merito della controversia (come evidenziato da C. RUSSO, op. cit., pag. 820).
777 In questi termini, S. PUCCI, op. cit., pag. 80. Discute di “statuizioni abnormi ed inefficaci” L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 864 (in particolare, nota 60). Secondo C. ASPRELLA, op. cit., pag. 163 s., la rimessione in termini non potrebbe essere concessa relativamente ad aspetti espressamente regolati dalla legge, primo fra tutti l’osservanza del termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia per la riattivazione del giudizio.
778 Nel (diverso) caso in cui la riassunzione del processo (mediante riproposizione della domanda) dovesse avvenire davanti ad un plesso giurisdizionale diverso da quello indicato, si potrebbe ipotizzare un dovere, per il giudice adito in seconda battuta, di dichiarare la litispendenza: in questo senso si è sempre pronunciata la giurisprudenza civile nel caso di trasmigrazione del processo per incompetenza (cfr. supra, Cap. II par. 3; per quanto concerne invece l’applicabilità dell’istituto ai rapporti fra giurisdizioni cfr. infra, Cap. IV par. 1.6.). Diversamente, L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 865 ritiene che, in siffatte situazioni, l’interessato perda il beneficio della salvezza degli effetti della domanda, ma le parti non possano dirsi vincolate ex. art. 59 comma 2 (con conseguente ammissibilità di appello avverso la declinatoria ovvero di nuova proposizione di eccezione di difetto di giurisdizione); in aggiunta, il giudice adito in seconda battuta non sarebbe tenuto (nel caso non concordi con la scelta della parte) a sollevare regolamento di giurisdizione d’ufficio.
779 B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 224. 
780 Fra questi: S. PUCCI, op. cit., pag. 80 s.; C. GLENDI, La circolarità dell’azione, cit., pag. 2657. 
781 Ed ancor più in seguito all’introduzione del novello “regolamento di giurisdizione d’ufficio” (art. 59 terzo comma). Del resto, la giurisprudenza di legittimità (in tema di translatio per incompetenza del giudice civile) è ferma nel considerarla parte integrante della statuizione del giudice a quo, ammettendo la ricorribilità (ex. art. 42 c.p.c.) anche avverso la sola indicazione (o la mancata indicazione): cfr. (a titolo esemplificativo) Cass., sez. I, 24 settembre 2004, n. 19290; cfr. inoltre Cap. II, par. 2.2. Occorre peraltro precisare come non siano richieste formule “sacramentali” per indicare il giudice ritenuto giurisdizionalmente competente (B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 219): pertanto, è facilmente ipotizzabile che l’indicazione possa essere desunta dalla motivazione del provvedimento, rendendo sufficiente l’eventuale ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale (C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit., pag. 762). 
782 In quanto egli ha statuito solo su di se (B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 224 s.; M. LIPARI, op. cit.sub 4; L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 866; B. RAGANELLI, op. cit., pag. 778). 
783 Non è chiaro, però, se essa debba essere sollevata mediante proposizione del regolamento di giurisdizione d’ufficio ovvero attraverso il ricorso alla disciplina del conflitto negativo diiurisdizione prevista dall’art. 362, 2 n. 1 c.p.c. (cfr. B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 225). A loro volta, le parti sarebbero libere di eccepire nuovamente il difetto di giurisdizione dell’organo adito in seconda battuta. Va peraltro ribadito come l’“indicazione” del giudice munito di giurisdizione sia essenziale ai fini della qualificazione del successivo atto di parte (volto alla riattivazione del processo) in termini di mera “riassunzione”: essa, infatti, determina l’immediata pendenza “qualificata” del processo davanti all’organo indicato (cfr. supra, Cap. IV par. 1.2.2.).
784 C. ASPRELLA, op. cit., pag. 165. 
785 A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1193. 
786 Cfr. nota 781. Si rinvia inoltre a quanto affermato supra, Cap. II par. 2.2. Per l’ennesima volta, il problema sembrerebbe essere costituito dall’assenza di un mezzo d’impugnazione (analogo al regolamento necessario di competenza ex. art. 42 c.p.c.) che consenta una celere decisione sulla questione di giurisdizione: ciò avrebbe spinto la dottrina a ricercare soluzioni maggiormente rispettose del principio della ragionevole durata del processo (ma che, come più volte evidenziato, sono in grado di determinare “discrasie” nell’ordinamento processuale). 
787 Come evidenziato in particolare da P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione, cit., pag. 113: se l’indicazione manca e non è ricostruibile mediante la motivazione della pronuncia, ci si trova in presenza di un vizio di violazione di norma procedimentale, che ne giustifica l’impugnazione (Cfr. nota 781). Parte della dottrina (in particolare M. LIPARI, op. cit.sub 4) ha inoltre analizzato la diversa tematica della riattivazione del processo innanzi ad un giudice diverso da quello indicato, evidenziando come (in siffatte circostanze) non potrebbeussistere un vincolo in capo alle parti ed al giudice adito: la soluzione più coerente da un punto di vista sistematico sarebbe tuttavia quella di garantire al giudice adito (in via di fatto) in seconda battuta la possibilità di dichiarare la litispendenza (essendo il processo, almeno in linea di principio, pendente davanti al giudice “indicato”: cfr. nota 783), istituto che, peraltro, non è considerato applicabile nei rapporti fra giurisdizioni (cfr. Cap. IV, par. 1.6.); in alternativa, si dovrebbe concedere al giudice erroneamente adito la possibilità di sollevare il conflitto di giurisdizione, in considerazione del fatto che la giurisprudenza suole attribuire prevalenza (nel caso di domande identiche proposte innanzi a giurisdizioni differenti) alla questione di giurisdizione rispetto a quella della litispendenza (cfr. Cap. IV, par. 1.6.).
788 Di “vincolo” in capo alle parti discute espressamente il secondo comma della disposizione in commento: “Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione...”.
789 Il primo comma dell’art. 374 c.p.c. così dispone: “La Corte pronuncia a Sezioni Unite nei casi previsti nel n. 1 dell’art. 360 e nell’art. 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, il ricorso può essere assegnato alle Sezioni semplici se sulla questione di giurisdizione si sono già pronunciate le Sezioni Unite”.
790 In questi termini A. TRAVI, La nuova disciplina della translatio, cit., pag. 915; F. CIPRIANI, La translatio tra giurisdizioni, cit., pag. 251; B. RAGANELLI, op. cit., pag. 779; G. BALENA, La nuova pseudo - riforma, cit., pag. 756; C. GLENDI, La circolarità dell’azione, cit., pag. 2658; M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 150. Considerano invece parificata l’efficacia della pronuncia proveniente dalle Sezioni semplici a quella del giudice di merito: S. MENCHINI, op. cit., pag. 258 s.; M. BOVE, op. cit., pag. 1303 s. Posizione peculiare è assunta da G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 420 s.: la studiosa osserva come il riformato art. 374 c.p.c. preveda che la decisione della questione di giurisdizione possa essere attribuita alle Sezioni semplici solo se su di essa si siano già pronunciate le Sezioni Unite, e che (di conseguenza) la vincolatività (anche) della pronuncia delle Sezioni semplici deriverebbe “de plano” dalla vincolatività della pronuncia “a monte” delle Sezioni Unite sulla medesima questione (pronuncia che ha efficacia pan – processuale e legittima l’attribuzione della decisione del caso concreto alla Sezione semplice). L’assunto è condiviso da C. ASPRELLA, op. cit., pag. 167 ss.
791 R. ANNECCHINO, op. cit., pag. 606 ss. 
792 In questi termini B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 226 s.
793 Vi sarebbe infatti un nesso di causalità “indiretto”, poiché (mediante la translatio) la pronuncia sulla giurisdizione acquisterebbe efficacia di giudicato interno
794 In quanto (secondo B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 226) la translatio iudicii potrebbe essere paragonata ad una tacita acquiescenza per la parte che vi procede: sulla tematica ci si soffermerà fra breve.
795 Al contrario, L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 867 ritiene che sia la riassunzione in sé a vincolare le parti nel processo riattivato, desumendolo dalla lettera della disposizione in commento. L’Autore, peraltro, non fornisce ulteriore motivazione del proprio convincimento: si limita infatti a precisare che, in caso la parte abbia previamente proposto appello avverso la declinatoria, la riattivazione del processo rende improcedibile l’impugnazione. Per quanto concerne invece la possibilità (per le parti) di eccepire nuovamente il difetto di giurisdizione, essa dovrebbe escludersi specialmente alla luce di quanto affermato nella nota sentenza Cass. n. 24883/2008 (cfr. nota 507): l’assunto non è condiviso da M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 148 (in particolare nota 53); B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 227.
796 Come evidenziato da F. CIPRIANI, La translatio tra giurisdizioni, cit., pag. 251. 
797 In questi termini A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1195.
798 Cfr. A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1194 s. Come ricordato da G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 430 la giurisprudenza civile in tema di trasmigrazione del processo per incompetenza del giudice adito ha costantemente escluso che la riassunzione possa costituire acquiescenza tacita alla pronuncia declinatoria: essa, infatti, non è stata considerata idonea a costituire quel comportamento univocamente espressivo della volontà di non impugnare che è richiesto ai fini della configurabilità di un’acquiescenza tacita. Il pensiero è condiviso da P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione, cit., pag. 115. Ritengono invece che la riassunzione del processo possa essere equiparata ad acquiescenza tacita B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 226 s. (a detta dei quali “deve ritenersi che l’impugnazione proposta diventi inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse nel caso in cui la ‘medesima’ parte proceda alla translatio dopo la sua proposizione; lo stesso dicasi per il regolamento preventivo di giurisdizione eventualmente proposto in precedenza ed ancora pendente”).
799 Cfr. nota 795. 
800 In particolare da A. BONSIGNORI, op. cit. pag. 1096 s.
801 Favorevoli a tale ricostruzione risultano G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 429 s.; C. ASPRELLA, op. cit., pag. 181; M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 142 s.; M. DI MARZIO, op. cit., pag. 125 (anche se, per considerazioni di mero carattere pratico, ritengono opportuno interpretare la formula “entro tre mesi dal passaggio in giudicato” come un termine finale per la riattivazione del processo). In particolare, A. CALDARERA, op. cit., pag. 766 ha evidenziato come, nel corso dei lavori preparatori, il Senato avesse proposto un emendamento (poi non approvato) al secondo comma dell’art. 59 secondo cui il termine per la riattivazione del processo sarebbe dovuto decorrere “dalla data della comunicazione della sentenza”: ciò sembrerebbe avvalorare ulteriormente la tesi sopra avanzata (contrariamente rispetto a quanto affermato da C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit., pag. 760).
802 Fra gli Autori che, in siffatte circostanze, non riescono a dare fondamento al vincolo posto dalla norma in capo alle parti (e che, di conseguenza, procedono ad una lettura sostanzialmente abrogatrice della stessa) si vedano in particolare B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 226 s.; A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1195; M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 148 (in particolare, nota 53). Con un po’ di fantasia, e volendo porre un vincolo in capo alle parti (ed al giudice ad quem) anche nelle ipotesi di riassunzione antecedente al passaggio in giudicato della declinatoria, si potrebbe far riferimento alla teoria formulata da Arieta relativamente alla competenza del giudice civile: considerare la fattispecie prevista dal secondo e terzo comma della norma in commento una fattispecie “indiretta” di giurisdizione intesa in senso dinamico (cfr. supra, Cap. II par. 4.2.2.) permetterebbe di vincolare le parti ed il giudice del rinvio anche senza dover fondare siffatto vincolo su una pronuncia passata in giudicato. Cfr. inoltre nota 193 (L’espressione é di G. ARIETA, op. cit., pag. 40. L’Autore tuttavia (ibidem, pag. 278 ss) non ricollega il duplice effetto d’incontestabilità previsto dalla norma in esame alla formazione del giudicato sulla questione: rinviene nella disciplina degli artt. 44 e 45 c.p.c. una fattispecie “indiretta” di competenza in senso “dinamico”, finalizzata all’individuazione del giudice competente a decidere il merito nel processo pendente anche eventualmente in contrasto con le norme che regolano la competenza in senso “statico” (cfr. infra, Cap. II par. 4.2.2.). Considerare coperto dal giudicato interno il duplice contenuto della pronuncia del giudice a quo risulterebbe contraddittorio (stante la definizione di “giudicato”) in caso di successivo “travolgimento” dell’accertamento ad opera della Cassazione (eventualmente pronunciatasi sul “regolamento di competenza d’ufficio” previsto dal seguente art. 45 c.p.c.). Significativo il seguente passo: “l’incontestabilità in discorso non è concepita dall’ordinamento in funzione della definitiva immutabilità dell’accertamento operato dal giudice a quo, ma dalla ricerca ed individuazione del giudice competente, in relazione alla quale trovano giustificazione i poteri, seppur ridotti, di rilevazione attribuiti al giudice ad quem e la stessa possibilità successiva d’investire la Cassazione con il regolamento d’ufficio. Se infatti la norma processuale attribuisce al giudice della riassunzione quei poteri e prevede espressamente la possibilità che l’accertamento sulla competenza, operato dal giudice di merito, sia travolto in tutto od in parte dalla successiva pronuncia regolatrice, occorre prendere atto che gli effetti in discorso non hanno nulla a che vedere (data la loro instabilità) con gli effetti del giudicato”.
803 Per la relativa analisi cfr. supra, Cap. II par. 2.2. 
804 Cfr. nota 203. 
805 Come evidenziato da B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 218, la norma in commento conferma la regola secondo cui il giudice adito in seconda battuta non è vincolato dall’indicazione del giudice che ha declinato la propria giurisdizione, ma al contempo deroga al principio secondo il quale ogni giudice è giudice della propria giurisdizione perché gli impedisce di prendere qualsiasi decisione al riguardo (potendo eventualmente sollevare la questione di giurisdizione solo davanti alle Sezioni Unite ed entro la prima udienza). 
806 Come evidenziato da P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione, cit., pag. 116, il meccanismo disciplinato dall’art. 59 evita l’insorgere di conflitti negativi di giurisdizione. Va peraltro osservato come alcuni autori (M. P . GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 144 ss., in particolare p. 148) abbiano attribuito al verbo “potere” (utilizzato dal legislatore nel terzo comma della disposizione in commento) la funzione di garantire al giudice adito in seconda battuta la possibilità di scegliere fra una seconda declinatoria di giurisdizione (con salvezza, dunque, del principio della Kompetenz – Kompetenz giurisdizionale e della disciplina del conflitto prevista dall’art. 362 secondo comma n. 1 del c.p.c.) e la rimessione della questione alle Sezioni Unite. Più correttamente, però, la dottrina maggioritaria (cfr. L. SALVANESCHI, op. cit., pag. 340) ha ritenuto che la possibilità di scelta (intrinseca nel verbo “può”) consista semplicemente nel trattenere il giudizio presso di se ovvero proporre regolamento di giurisdizione d’ufficio. 
807 Cfr. B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 251.
808 I. RAIOLA, op. cit.sub 3. Discute invece di “cattiva formulazione della disposizione” A. CALDARERA, op. cit., pag. 763.
809 Come evidenziato da B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 251 s., la formulazione del terzo comma dell’art. 59 (proprio con riferimento al limite temporale entro cui può essere sollevata la questione di giurisdizione) sarebbe un esempio di disposizione di legge non del tutto coerente con la portata generale che essa riveste. Si intuisce, infatti, che il redattore del testo (nel fare riferimento alla prima udienza di trattazione fissata per il merito) avesse in mente il processo civile e, tra l’altro, solo quello ordinario: è sufficiente considerare il processo del lavoro per rendersi conto che non in tutti i processi si celebra un’udienza del genere (nel rito giuslavoristico, di regola, l’udienza è una sola: art. 420 c.p.c.); lo stesso accade in tutti gli altri principali processi (amministrativo, tributario e contabile) in cui è previsto lo svolgimento di una sola udienza di discussione. Con la formulazione ricordata, nel processo civile il legislatore poteva certamente raggiungere l’obbiettivo di fissare un limite temporale molto breve entro il quale il giudice doveva decidere se sollevare o meno la questione: la prima udienza di trattazione del merito, infatti, è quella fissata a norma dell’art. 183 c.p.c. nel processo ordinario, mentre nel rito del lavoro è quella fissata a norma dell’art. 420 c.p.c. (la tempestività in questo caso è assicurata dalla puntuale disciplina dell’art. 416 c.p.c.). La formulazione dell’art. 59 dava luogo invece a problemi per quanto concerne il processo amministrativo: mentre il riferimento al termine “prima” udienza sembrava poter comprendere anche le camere di consiglio per la discussione della domanda cautelare, la successiva precisazione che si trattava di udienza “di merito” determinava sicuramente una differenza di carattere sostanziale, con il conseguente spostamento in avanti (anche di alcuni anni nei casi sfortunati) del termine ultimo per sollevare la questione di giurisdizione in occasione della celebrazione dell’udienza di discussione del ricorso. Molto opportunamente l’art. 11 comma 3 c.p.a. (su cui ci si soffermerà nel proseguo) fa riferimento semplicemente alla “prima udienza”, comprendendo quindi sia le camere di consiglio che le udienze di discussione.
810 Sulla base di un vincolo che deriva non tanto dalla pronuncia del giudice a quo quanto dal comportamento del secondo, che ha omesso di rimettere in discussione la propria giurisdizione: in questi termini B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 228. Parte della dottrina (G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 424) ha inoltre ipotizzato che, anche se la norma si riferisce (espressamente ed esclusivamente) al giudice adito a seguito della declinatoria della giurisdizione, essa dovrebbe essere letta estensivamente come se stabilisse che anche il giudice originariamente adito debba risolvere la questione di giurisdizione entro la prima udienza (mediante eventuale rilievo d’ufficio della questione): in tal modo, la disciplina del rilievo del difetto di giurisdizione sarebbe (opportunamente, alla luce della progressiva equiparazione dellequestioni) uniformata a quella prevista dall’art. 38 c.p.c. per quanto concerne il rilievo dell’incompetenza. Va infine osservato come, a differenza di quanto previsto nella norma in esame, l’art. 45 c.p.c. non precluda l’esperibilità del regolamento di competenza d’ufficio alla prima udienza fissata per la trattazione del merito.
811 Per maggiori dettagli si rinvia ad A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1205 ss. 
812 G. GIOIA, La decisione sulla questione di giurisdizione, cit., pag. 319. 
813 In particolare M. LIPARI, op. cit.sub 7.
814 Come evidenziato da A. GIUSSANI, Le novità in materia di scelta del giudice, cit., pag. 1205; C. ASPRELLA, op. cit., pag. 193 ss. rileva invece un residuo spazio operativo per la disciplina contenuta nell’art. 362, 2 n. 1 proprio in quelle ipotesi (patologiche) in cui il giudice adito in seguito a declinatoria di giurisdizione non sollevi il regolamento d’ufficio e pronunci ugualmente il proprio difetto di giurisdizione.
815 Secondo M. BOVE, op. cit., pag. 1304 e C. ASPRELLA, op. cit., pag. 181, alla previsione che fa salve le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione andrebbe aggiunto “il classico inciso ‘in quanto applicabili’: ed è evidente che ciò significa la spendibilità dello strumento di cui all’art. 41 c.p.c. solo nell’ambito del processo di fronte al giudice adito per primo”. M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 149 precisa che deve considerarsi “ferma” la disciplina del mezzo preventivo così come risultante dal c.d. “diritto vivente”.
816 In particolare C. CONSOLO, La translatio iudicii tra giurisdizioni, cit., pag. 1271. 817 Cfr. Cap. IV, par. 1.3.2. 818 In ogni caso, si dovrebbe ritenere che la preclusione del regolamento preventivo di giurisdizione debba valere solo per le parti che abbiano partecipato al giudizio davanti al primo giudice, e non anche per il litisconsorte necessario / controinteressato pretermesso che sia diventato parte del giudizio solo in seguito alla riassunzione del processo. Cfr. B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 248.












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